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by StudioStella
Diritto, Diritto penale d’impresa, Diritto penale del diritto d’autore, Diritto penale del lavoro, Diritto penale dell’ambiente, Diritto penale fallimentare, Diritto penale tributario7 Novembre 20220 comments 0 Likes

Le fasi del processo penale: il giudizio di appello

Regolato dalle norme del Codice di procedura penale, il processo penale si compone di diverse fasi e vede il coinvolgimento di diversi soggetti, così come approfondito nel nostro precedente articolo.

Tutte le fasi processuali – dall’iscrizione della notizia di reato alle indagini preliminari, fino alla richiesta di archiviazione o rinvio a giudizio, all’udienza preliminare, al dibattimento e all’emissione della sentenza – sono finalizzate a verificare la commissione di un reato e, di riflesso, anche la punibilità eventuale del soggetto accusato.

Tuttavia, la verifica della sussistenza di un determinato fatto come reato si snoda attraverso una serie di “step”: quello su cui ci concentreremo oggi è il giudizio di appello, che assieme alla revisione e al ricorso in Cassazione rappresenta una forma di impugnazione contro le sentenze.

Che cos’è il giudizio di appello

Conosciuto come secondo grado di giudizio, l’appello è un mezzo di impugnazione della sentenza di primo grado di un processo penale, ed è disciplinato nel titolo II del Libro IX del Codice di procedura penale, dall’articolo 593 al 605.

Il giudizio d’appello si caratterizza inoltre per alcune peculiarità:

  • È ordinario, ossia proponibile soltanto come impugnazione di una sentenza non definitiva.
  • È di merito, perché finalizzato a rivalutare i fatti oggetto della controversia.
  • È a critica libera, perché il Legislatore non ne precisa i motivi proponibili.
  • È parzialmente devolutivo, perché assegna al giudice di secondo grado una cognizione circoscritta ai capi e ai punti investiti dai motivi.

L’appello può inoltre consistere in una conferma o riforma della sentenza impugnata, mentre più raro sarà il suo annullamento – in particolar modo totale.

A decidere in Appello possono essere deputate diverse figure: il Tribunale Monocratico, composto da un solo giudice, per quanto riguarda le sentenze emesse dal Giudice di Pace; la Corte di Appello, ossia un collegio formato da tre giudici che decide in secondo grado sulle sentenze emesse dai tribunali monocratico e collegiale e dal GUP (Giudice dell’Udienza Preliminare); la Corte di Assise di Appello, cui spetta il compito di decidere in secondo grado sulle sentenze emesse dalla Corte di Assise e del GUP se relative a reati di competenza di queste figure; e la Corte di Appello Sezione Minori relativamente alle sentenze emesse dal Tribunale per i minorenni.

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I poteri di cognizione del giudice d’appello

Il giudice del processo d’appello ha pieni poteri cognitivi, esattamente come il giudice di primo grado, seppur limitatamente ai capi o ai punti della sentenza che vengono impugnati.

Tuttavia, tali poteri di cognizione cambiano a seconda della figura che propone l’impugnazione. Nello specifico, alcune distinzioni vanno fatte soprattutto nel caso in cui l’appellante sia il pubblico ministero:

  • se l’appello riguarda una sentenza di condanna, il giudice d’appello può inasprire o mutare la specie della pena o dare al fatto una definizione giuridica più grave, così come revocare benefici o eventualmente applicare misure di sicurezza o altri provvedimenti previsti dalla legge;
  • se l’appello riguarda una sentenza di proscioglimento, il giudice d’appello può pronunciare la condanna ed emettere i provvedimenti di cui al punto precedente o prosciogliere per una causa diversa da quella indicata nella sentenza appellata;
  • in caso di conferma della sentenza di primo grado, il giudice d’appello può applicare, modificare o escludere le misure di sicurezza e le pene accessorie nei casi determinati dalla legge.

Se l’appello viene invece proposto solo dall’imputato – che assume quindi il ruolo di appellante – il giudice d’appello non può emettere una pena più severa né per specie né per quantità; non può applicare una nuova o più grave misura di sicurezza, prosciogliere l’imputato per una causa meno favorevole di quella relativa alla sentenza appellata, e neppure revocare benefici. Può invece dare al fatto una definizione giuridica più grave senza tuttavia superare la competenza del giudice di primo grado.

In sintesi, il giudice chiamato a deliberare in appello dovrà, dopo aver ritenuto ammissibile l’impugnazione, decidere sui punti e sui capi della sentenza che l’appellante ha indicato come errati, limitando quindi la propria analisi (e pronuncia) a quegli specifici aspetti della sentenza e non alla sentenza in toto.

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Il giudizio in appello: un solo rito senza acquisizione di nuove prove

Tutti i giudici chiamati in appello, siano essi togati o popolari, sono generalmente di lunga esperienza mentre il ruolo dell’accusa è affidato a un procuratore generale di norma più “anziano” dal punto di vista professionale rispetto al PM che ha gestito il processo di primo grado.

È infine interessante notare che il processo d’appello comporta una relazione finalizzata a riassumere il caso di fronte ai giudici o al giudice così come le motivazioni che hanno portato all’appello stesso. Tale presentazione viene svolta dalla corte. La parola passa poi alla pubblica accusa mentre difesa e imputato avranno diritto all’ultima parola. Successivamente, la corte emette la sentenza di secondo grado.

Nel giudizio d’appello non vi è quindi alcuna attività di acquisizione di prove: si discute invece delle evidenze acquisite in primo grado senza che queste siano nuovamente assunte. Tale principio è valido per tutte le prove assunte ad eccezione di alcune circostanze straordinarie: in tal caso si parlerà di rinnovazione totale o parziale delle prove, con mera produzione di nuova documentazione relativa a evidenze già assunte in primo grado o di nuove prove scoperte successivamente, purché queste siano decisive o non potevano essere acquisite durante il procedimento di primo grado.

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